Con la guerra è entrata in tutti noi l’angoscia, perché eravamo tutti piccoli… Il minore non aveva ancora due anni… immaginarsi questa corona di bambini !
Sei figli in una famiglia molto povera…
Sì, sì… poverissima! Io non ho nessuna vergogna a dirlo anzi, sono fiera di questa povertà che ci ha aiutato a capire e ci ha arricchito di molti valori, tutti quanti.
Eravamo dunque lì, pieni di paura perché papà, nonostante fosse appunto così povero, si interessava molto dei fatti del mondo. Era portato per la politica e ci parlava spesso di quello che succedeva.
Lui in effetti era stato richiamato ma noi avevamo cambiato più volte paese e forse i Comuni non si erano scambiati tutte le carte. Così la cartolina di richiamo è arrivata tardi; quando lui si è presentato avevano già completato i quadri dei sottufficiali e l’hanno rimandato a casa, in attesa.
Fu veramente per fortuna anche perché avrebbe dovuto andare a combattere in Francia dove aveva diversi parenti, tra cui il fratello.
Era un po’ come combattere contro i suoi…
Proprio così. E questa, intanto, c’era andata bene.
Alla fine di settembre io sono ripartita per Trieste per il secondo anno e lì, finalmente, ho cominciato un po’ a risvegliarmi e a capire cosa mi circondava. Ho iniziato a studiare di più, ad avvicinarmi alle mie compagne e a prendere coscienza dell’ambiente.
Sono incominciate le prime esperienze di amicizia davvero belle.
Ricordo ancora i compleanni. Io compio gli anni in marzo, e cosa facevano le mie amichette per festeggiarmi? Ogni domenica sera ci davano otto biscotti, ricordo ancora, ben contati: non uno di più, non mezzo di meno. E loro, che non avevano doni da farmi, già diverse domeniche prima prendevano una scatola e conservavano questi biscotti: chi ne metteva due, chi uno…
Quando arrivava il giorno del mio compleanno li disponevano come il banchetto di una principessina; improvvisavano anche delle scenette. Mi è rimasto sempre impresso perché poi, per tutta la vita, io ho sempre avuto una grande festa il giorno del mio compleanno. Ed è cominciato già fin da allora, fin dagli Istituti, quando non c’erano tante possibilità. Era commovente vedere come ci facevamo festa, anche se non avevamo niente!
Il mese di maggio noi, spinti dalle nostre devozioni e da quello che avevamo appreso in famiglia, ci radunavamo di sera a dire il rosario nel parco. L’istituto era tenuto da laici e quindi queste devozioni erano facoltative, nessuno ce le imponeva.
Si diceva il rosario, si recitavano le preghiere e si odoravano le rose… Nel parco c’erano diversi ippocastani, rosai e piante di alloro.
Ai ragazzi era assegnato un cortile più in alto, più ampio del nostro ma con meno piante.
Quindi eravate divisi tra maschi e femmine.
Rigorosamente divisi! Solo a scuola ci incontravamo.
I maestri erano abbastanza di vedute larghe. Io ho litigato spesso con i compagni, in particolare con un croato che era proprio crudo crudo…
È passato anche il secondo anno. A scuola ho reso di più, ho letto anche diversi libri, e sono tornata a casa incominciando ad essere serena.
Però, come sempre, una nuova casa! Era proprio un rudere in piena campagna, serviva ai contadini per riporre gli attrezzi di lavoro. Una casa che non era casa.
Finestre piccole, senza vetri… Il papà incollava i fogli dei miei giornali in braille perché avevano la carta più grossa: li incollava in novembre e li levava in marzo.
Una nuova casa, e ancora un casolare fatiscente… Mi sono rimaste dentro queste case, come un incubo.
Forse oltre al problema della scomodità tu avevi anche il problema di imparare ogni volta a muoverti in un ambiente sconosciuto.
E la tua casa di fatto comincia a diventare l’istituto…
Ma da questo momento non ho più cambiato, per parecchi anni.
In questa casa è morta la nonna mentre io ero a Trieste, il giorno di Natale del 1940.
Una giornata che poi mi hanno un po’ descritto e che io cerco di immaginare… Un Natale molto freddo.
Dove eravate adesso?
A Ponte di Barbarano.
L’anno prima ad Albettone… Avete girato tutta la Riviera Berica!
Eh, sì! Ma non avevano legna, non avevano niente. Erano nuovi del paese. La gente non li conosceva ed era sospettosa, non si fidava. Erano degli avventizi, braccianti avventizi, e quindi… niente!
Avevano chiesto un po’ di legna ai nuovi padroni ma gliel’hanno rifiutata. Mi raccontarono che solo il parroco di Ponte di Barbarano, anche lui poverissimo, ci ha mandato qualcosa da bruciare. Legna verde purtroppo, che faceva più fumo che caldo.
La nonna a modo suo mi voleva bene, forse mi preferiva fra tutti i nipoti; avrebbe voluto che andassi con lei quando faceva il giro per l’elemosina. Ma io non ci volli mai andare; anche per il mio carattere.
Nessuno l’ha mai seguita, anche tra i miei fratelli…
Per lei non provavamo affetto; ci penso tante volte e mi sembra impossibile di non averle voluto un po’ di bene, quello che ho sempre voluto alle persone che mi sono state vicine.
Forse era la nonna che aveva con voi, come era abbastanza comune una volta, un rapporto un po’ distaccato, forse autoritario…
E allora certamente si fa più fatica.
Sì, ma ho anche ricordi di screzi, di dispetti. Mamma e papà erano stati gli unici ad accoglierla e tenerla con loro in casa finché è morta, ma lei non si era comportata bene con loro.
Ma è l’unica nonna che ho conosciuto. L’altra, quella materna, è morta giovane, quando mia mamma non era ancora sposata. I due nonni non li ho mai conosciuti: uno è morto con il gran freddo del ’29, l’altro è emigrato in Francia.
E torniamo a parlare del nuovo ambiente.
È stato importante, perché lì ho incominciato ad amare e conoscere in modo nuovo la natura; molte cose le avevo capite da piccola ma qui ho imparato a conoscerne i fruscii, i rumori e dare a tutti un nome. Prima, quando sentivo un piccolo rumore scattava la paura perché non capivo cos’era… Allora ho cominciato a reagire e a cercare di immaginare cosa poteva essere; così ho imparato a convivere con questi rumori, sono riuscita a riconoscere le voci della natura e questo mi ha molto aiutata.
Ero in mezzo ai campi, ero circondata dai fossi… e per me era importante riconoscere il ramarro, il salto della rana, il verso di un uccello, il camminare del gatto… Dicono che il gatto ha un passo silenziosissimo, ma anche lui si fa sentire!
Ho incominciato ad imparare e, imparando, ad arricchire il mio spirito di serenità… Non di gioie intense o di felicità fugaci: proprio di serenità.
Mi son detta:: «Adesso io ci sono e devo vivere, devo vivere meglio che sia possibile e devo imparare tutto quello che può aiutarmi a vivere meglio…».
Le mie estati hanno incominciato ad essere più belle e serene.
Però c’era la guerra.
E il fratello che era partito, è andato a combattere in Russia e non è più tornato.
Racconterò, racconterò…
Intanto è partito; i primi mesi li ha trascorsi ad Asti. Lui, anche vedendo la miseria della famiglia, voleva emanciparsi un po’; quando è stato militare ha fatto dei corsi, ha imparato a guidare il camion e ci scriveva: «Quando tornerò vedrete che cambieranno tante cose». Era pieno di speranza, di gioia di vivere, anche con i genitori.
E così passava l’estate, la prima vacanza proprio di guerra guerra, e quando arrivava settembre bisognava ripartire.