11 Viaggio a Lourdes

Così sono tornata in famiglia; ormai sapevo di non poter tornare in istituto, in autunno non avrei più ricevuto la lettera di invito per il ritorno.
Dovevo quindi programmare questa nuova vita e ho cominciato a cercare delle lezioni private. Ne ho trovate, e ho cominciato a insegnare.

Lezioni di pianoforte?

Sì, e con grande soddisfazione.
Poi sapevo che le scuole, le scuole medie, avevano incominciato ad accettare l’insegnante di musica. Noi avevamo tutti i requisiti perché avevamo il nostro diploma, bastava fare l’abilitazione e potevamo avere un lavoro sicuro. Io su questo contavo molto, anche perché nel mio paese avevano appena costruito una scuola media e quindi la possibilità c’era.
In attesa facevo delle lezioni private e mi preparavo ad affrontare il mondo: il mondo della scuola, da un punto di vista del tutto nuovo per me, e il mondo in se stesso.
Bisogna avere forza, coraggio e tanta coscienza del proprio essere e dell’essere degli altri per poter dare senso alla vita. Lavoravo anche su questo piano, nonostante fossi sola e non avessi altre persone accanto, che mi consigliassero. Io ho avuto la fortuna, e la sfortuna, per tutta la vita, fin da bambina, di dovermi arrangiare da sola, sempre.

Quando tu dici “affrontare il mondo” vuoi parlare della difficoltà, che tutti possiamo provare, di comprensione, di comunicazione, di capire fino in fondo quali sono i bisogni nostri e degli altri.

Le aspirazioni, le speranze, i desideri, le voglie… tutto, tutto di un ragazzo giovane

Anche quello di farsi una famiglia.

Certo, di formarsi una famiglia. E il primo momento, il sentimento d’amore, e quindi la paura di essere, non solo criticata, ma anche qualcosa di più: «Cosa crede di essere, dove pensa di arrivare…».
E il non poter esprimere tutte queste cose ai familiari; forse loro avrebbero capito, ma il mio pudore mi bloccava.
Perché è stato un po’ un handicap, per me, il fatto di non avere una sorella, di essere sola con dei fratelli molto affettuosi, molto cari, ma… ragazzi, con i quali non potevo confidarmi.
E così comincio la mia vita fuori dall’istituto, nella famiglia, sempre con una salute molto delicata…

Perché, ricordiamo, avevi sempre dei dolori alla schiena e portavi il busto. Lo portavi ancora?

Sì, lo dovevo portare sempre.
L’ho tolto dopo un paio d’anni che ero a casa, poco prima del mio viaggio a Lourdes.
Un viaggio che vorrei raccontare.
Un gruppo di infermiere dell’ospedale psichiatrico di Vicenza, che facevano parte di un’associazione interna dell’Azione Cattolica, mi avevano offerto questo viaggio. Io ero un po’ restia, ma in tanti mi hanno convinta: mi dicevano «Va, va…» e così ho deciso di andare
Ma pochi giorni prima… è stato, come si dice, un lampo a ciel sereno: io ero a casa da sola, in cortile; la mamma era andata a prendere l’acqua, perché allora non avevamo l’acqua in casa.
All’improvviso un grandissimo tuono, un gran fulmine, tutta luce, tutta elettricità. Ha anche ucciso un ragazzo, in una fabbrica di Ponte di Barbarano, che aveva un ferro in spalla che ha attratto la scarica.
Io ho preso uno spavento terribile.

I temporali da sempre ti spaventavano.

Però per quel gran spavento per il mio cuore, già un po’ affannato, sono cominciate le aritmie. E non sapevo più se andare.
È successo il 3 settembre ed io dovevo partire per Lourdes il 26; sono stata sempre male in quel periodo a causa delle aritmie continue… Il 26 sono partita lo stesso e per essere più comoda ho pensato di non indossare il corsetto.

Anche quella è stata un’esperienza!
Salgo in treno. Sai, io ero molto disinvolta con la gente, parlavo e mi rivolgevo agli altri e loro pensavano che vedessi…
Mi mettono nello scompartimento a me affidato; guardando le mie malattie mi avevano assegnata anche una barella. Io invece mi sono seduta e quella è stata la mia sfortuna.
C’era una ragazza venuta da Arco che aveva il suo medico, e lui ha imposto di lasciare libera per lei la barella, la mia barella. Ho fatto qualche rimostranza ma c’erano due suore, anziane, che dicevano che andava bene così perché io dovevo sacrificarmi e rimanere seduta per guadagnarmi il viaggio a Lourdes.

Io non mi rivolgevo a nessuno, me ne stavo lì, quieta. Pensavano che avessi i miei guai, morali più che fisici, e quindi non ho avuto aiuto da nessuno.
E’ stato un viaggio faticoso; ero stata assegnata ad un monsignore e ad un medico di Vicenza però io non li ho mai visti.

Quando sono arrivata a Lourdes, la sera, in mezzo alla confusione, ho detto: «Io me ne resto in camera!».
Ero assegnata a uno di questi ospedali, “La Ville”, il più vicino alla grotta; stavo in un immenso stanzone dove c’erano tante persone, ragazzine epilettiche, un po’ di tutto insomma. Ho chiesto di non andare in refettorio perché con tutta quella confusione avrei perso l’orientamento. Già così non sentivo più niente, non capivo più niente.
Mi sono sentita anche male, però ho taciuto, ho preso le mie pastiglie, mi sono fatta insegnare dov’erano i servizi, cercavo di disturbare il meno possibile.
Mi sono fatta portare alla processione ma non capivo niente, non sapevo da che parte fosse l’Altissimo, da che parte la processione… Non sapevo niente. E allora ho detto: «Eh no! Essere trattata come un pacchettino, essere buttata di qua e di là, no! Niente da fare!».

E ho cominciato a protestare. Non solo per me, ma anche in generale; mi dicevo: «Devo far qualcosa per impedire che ad altri, che non sanno parlare o non sanno difendersi, possa succedere questo». Non si possono organizzare questi viaggi ,con persone che hanno bisogno di essere aiutate in tutto, e poi lasciarle così…
Ho mandato a chiamare il Monsignore di Vicenza e così mi hanno affidato un barelliere, anche perché in base alla malattia che risultava dai loro registri, io dovevo stare sempre o in carrozzina o in barella. Però allora io mi muovevo un po’..
Con il barelliere mi sentivo più sicura, però le avventure non erano finite.

Nel nostro stanzone c’era una signora che contestava tutti; venivano i sacerdoti e lei contestava tutto quello che dicevano, con astio, con rabbia. Era addoloratissima, dopo l’abbiamo capito.

Aveva una malattia del cuore…

Sì, era l’anima che era malata.

Non si muoveva, rimaneva sempre a letto. Han provato tutti a scuoterla: è venuto anche l’arcivescovo di Bologna, perché lei era dell’Emilia Romagna.
Una suora di Bologna che aveva cominciato a venire vicino al mio letto e conversare con me, un giorno mi dice: «Perché non provi un po’ tu a parlarle?».
Mamma mia! Sono rimasta spaventata, anche perché sentivo il tono durissimo delle sue le parole. Ho chiesto il numero del suo letto e mi son detta: «Proverò».

Il giorno dopo, conto i letti e vado… Lei mi gira la schiena; io resto lì imperterrita e le dico: «Signora, come sta?». Quelle domande che si fanno così… E lei, vedendomi costante, restare lì, nonostante mi rispondesse male, ad un certo momento si gira di scatto e mi fa: «Guardi qui, di cosa vuole che io abbia voglia?»
«Signora, cosa devo guardare?» «Guardi qui!» Insomma: lei mi mostrava un medaglione con la foto del marito e del figlio. Il marito era stato ucciso dai partigiani ed il figlio proprio venti giorni prima era andato a fare un bagno nel Reno e non era più tornato; non l’avevano neanche più trovato. Immagina il dolore di questa madre.
Allora io le dico che non posso vedere, che io non vedo.

Lei è rimasta lì ed abbiamo incominciato a ragionare: «Lei ha ragione, questo dolore, l’essere rimasta sola…» E io ho le ho parlato dei miei familiari, di mio fratello, della mia mamma: crede non abbia mica sofferto? Lei era sempre fredda e dura, però il primo passo era stato fatto: l’avevo fatta parlare ed ora almeno tutti sapevano che cosa aveva.
Alla sera è venuta lei vicino al mio letto: era sempre addoloratissima, con questo gelo… però sentivo che incominciava a sciogliersi.
Il giorno dopo, al momento della processione, mi metto d’accordo col barelliere e gli dico: «Non venire, e andate via tutti voi». Quando sono andati via tutti, allora -mamma mia, come faccio adesso?- dico: «Signora, non mi accompagnerebbe lei?»

Così l’hai costretta a impegnarsi.

Eh sì! «Altrimenti, come faccio?» le dico.
Lei è rimasta stupita, però non è riuscita a dirmi di no. Ci siamo messe dietro a tutti e durante la processione ha pianto, ha pianto tanto.
L’anno dopo mi ha scritto che era ritornata e che finalmente aveva ritrovato un po’ di pace. «Anche per merito tuo» mi diceva.

E questo è stato il più bel ricordo di Lourdes.
Altre esperienze di quel viaggio sono state più amare, non saprei neanche definirle. Sai, una ragazza giovane, piena di vita, di entusiasmo, che incontra delle persone che si credono in diritto di tutto… Anche lì ho dovuto protestare perché bisogna mandare persone preparate, persone adatte.
Ad ogni modo la Madonna mi ha aiutato e Lourdes mi è rimasta dentro. Mi dicevo: la mia Madonna la trovo anche al mio paese, la trovo anche in me… però Lourdes è un posto dove non avrei paura di morire, dove, non dico sarei felice di morire, però certamente sarei serena.
E ringrazio anche per quelle cose che al primo momento sembravano strane e dopo invece, a poco a poco, riesci a capire… Ringrazio per aver colto l’occasione, per non essermi tirata indietro, per non aver detto di no anche nei momenti nei quali, data la mia salute, avrei potuto farlo.

So che in seguito hanno incominciato ad organizzare un po’ meglio i pellegrinaggi ed i miei compagni che non vedono non sono stati più trattati come tanti pacchettini portati di qua e di là.
Dopo questo viaggio a Lourdes, molto importante per me, la vita è ricominciata a scorrere normalmente.
Passavo le mie giornate dando le lezioni e in quel periodo ho cominciato anche a lavorare a ferri.

In estate andavo ad Asiago: gli amministratori del Configliacchi, l’istituto dove io avevo studiato, avevano comprato due ville ed organizzavano dei turni anche per i gli istituti di altre città.
Io avevo abbastanza bisogno della montagna e, d’accordo con la direttrice, stavo tutti i turni e passavo l’estate ad Asiago, da metà giugno ai primi di settembre.
Era un soggiorno piacevolissimo, ho conosciuto in quegli anni molte persone con le quali sono ancora in contatto. E si passava i mesi seguenti, fino alla prossima estate, scrivendoci… Allora non c’era il telefono, però scrivevo molto.
In quegli anni sono sbocciati anche molti sentimenti che sono andati al di là dell’amicizia e mi hanno aiutata a capire ed accettare meglio questa situazione. Pur soffrendo, perché non si rinuncia mai ad un amore con gioia, tutt’altro.
Sono stati giorni molto belli; nella corrispondenza c’erano approfondimenti che arricchivano. Soprattutto con un ragazzo che ho conosciuto in quel tempo era piacevolissimo scrivere, perché toccavamo vari argomenti, ma in modo particolare quelli religiosi; parlavamo del nostro sentimento ma anche del rapporto con Dio.
Eravamo tutti e due amanti della poesia, tutti e due assetati di infinito ed era bello stare insieme, era bello scambiarci le nostre impressioni, le nostre riflessioni; ho ricordi molto belli che serbo con nostalgia e a volte ancora fanno sorridere l’anima e mi danno un senso di serenità, di gioia.

Hai mantenuto ancora dei contatti con questo ragazzo?

L’ho ritrovato dopo tanti anni; è sposato, ha due figli, è molto contento. Ci siamo ritrovati per mezzo del mio amico Arcivescovo che adesso è in Vaticano ed è elemosiniere del Papa. Non so se ne ho parlato.

Mi sembra che ne avessi accennato tempo fa.

Questo monsignore, nostro comune amico, era il nostro cappellano in quei tempi. Ha serbato di noi un bel ricordo: quando viene a casa mia, da qualche anno a questa parte telefona sempre anche a questa persona in modo che possiamo ritrovarci qui, celebrare insieme la messa e passare ancora dei bei momenti.
Ma sono altre le amicizie che continuano. In quegli anni ho conosciuto un amico che abita a Vicenza che è stato per molti anni massaggiatore in ospedale; siamo rimasti molto insieme ed è stato un vero arricchirsi. Il rapporto di amicizia continua ed è molto bello, ci aiutiamo a vicenda anche per aiutare gli altri. Abbiamo stretto un vincolo che ci permette di spaziare e di consolidare la nostra solidarietà verso gli altri.

Hai usato la parola “consolidare”. Gli anni passati in comune, lo scambio di sentimenti, di sensazioni, di desideri hanno reso proprio solida questa amicizia.

Anche perché in gioventù si pensa e si sente in una maniera diversa, ma poi si sa accettare e sublimare il nostro sentire.
Ecco che quando ci si ritrova è tutto più molto bello; si possono costruire ancora tante cose e forse migliori di quelle che si pensava quando si era giovani.